Nel 1945 venivano insigniti del nobel, il premio più ambito dai più grandi ricercatori del mondo, per i loro meriti nei campi della medicina e della fisiologia, gli inglesi Alexander Fleming, Ernst Boris Chain e l’australiano Howard Florey. Gli scienziati, studiando delle colture della muffa Penicillium notatum, riuscirono a sintetizzare per la prima volta una sostanza capace di fermare lo sviluppo e la proliferazione delle colonie batteriche, la penicillina. Due anni dopo il professore Giuseppe Pezzi, ufficiale medico di marina, portò alla luce degli studi che anticipavano la scoperta della penicillina di ben 33 anni. Questi studi furono approfonditi da un giovane scienziato italiano: dovreste già sapere di chi stiamo parlando. Si tratta ovviamente del nostro illustre ma dimenticato concittadino, il dott. Vincenzo Tiberio. Egli nelle sue ricerche pubblicate nel 1895 presso l’Istituto di Igiene della Regia Università di Napoli, osservò il potere chemiotattico degli estratti di muffe nelle infezioni sperimentali del bacillo del tifo e del colera. In effetti il suo nome, come la stima di noi sepinesi nei suoi confronti, è andata affievolendosi nel tempo. Ne è prova il fatto che il suo busto commemorativo sia stato tolto dalla torre della piazza e abbandonato in chissà quale magazzino a riempirsi di polvere. Di seguito vi riportiamo la sua vita, che come vedrete è testimonianza di profondi valori umani e sociali, vero monito ed esempio da tenere sempre presente per tutti i suoi concittadini. Vincenzo Tiberio nacque da famiglia abbastanza benestante, infatti il padre Domenico esercitava la libera professione di notaio; compì gli studi elementari nella nostra Sepino e gli studi superiori a Campobasso.In seguito si laureò all’età di soli 22 anni presso la facoltà di Medicina dell’Università di Napoli. Durante questo periodo alloggiò presso gli zii Graniero, nella loro casa di Arzano; e quella scelta segnò la vita di Vincenzo; conobbe la cugina Amalia Teresa, figlia dei Graniero, che avrebbe sposato il 5 agosto del 1905 nella cappella della casa dei suoceri ad Arzano. La casa di Arzano si rivelò scelta felice anche per la maturazione professionale del giovane, poiché quell’angolo di mondo rustico gli consenti di continuare ad esercitare il proprio spirito di osservazione sulla natura; anzi, fu proprio lì che scoprì lo strano comportamento di alcune muffe presenti all’interno del pozzo di quella casa. Infatti ogni qual volta le pareti del pozzo venivano ripulite dalla presenza di tali funghi le persone che bevevano l’acqua attinta dallo stesso pozzo presentavano dei disturbi intestinali fino alla formazione di nuove muffe. Tiberio intuì che le muffe avevano grande parte nella potabilità dell’acqua e immaginò che tra le muffe e alcuni batteri si verificasse il fenomeno dell’antibiosi. Tiberio, divenuto l’anno successivo assistente presso l’Istituto di Igiene della stessa Università, diretto dal prof. De Giaxa, volse la sua attenzione verso gli ifomiceti. Tuttavia l’azione delle muffe era nota ai medici della Grecia e di Roma antiche, che la utilizzavano sotto forma di poltiglia per ricoprire le ferite, al fine di impedirne la suppurazione. Nel 1895, dopo la pubblicazione del suo lavoro Vincenzo Tiberio prese parte al concorso per Medico di 2° classe nel Corpo sanitario marittimo e lo vinse. Ci si è chiesti come mai un giovane e brillante assistente universitario ed autore di una ricerca di notevole interesse avesse deciso di lasciare una carriera così promettente, per entrare nella Regia Marina. La risposta è nei «Diari» del medico molisano: in Tiberio vi era il desiderio di conoscere il mondo e di allargare la propria cultura e le proprie esperienze oltre che un fervido patriottismo. Dopo diverse spedizioni nelle quali fu sua prerogativa la prevenzione di malattie legate alla vita sul mare la somministrazione di precise razioni alimentari ai marinai, si distinse soprattutto nella spedizione verso Zanzibar dove riuscì a curare alcuni marinai affetti da vaiolo e beri-beri grazie all’integrazione degli estratti della pianta della china e del ferro. Tornato in Italia si attivò per portare soccorso alle popolazioni duramente colpite dal terribile terremoto del 1905 che rase al suolo Messina e Reggio Calabria, riuscendo così a portare in salvo oltre 2.000 persone. «Per essersi segnalato in operosità, coraggio, filantropia e abnegazione» ricevette un importante riconoscimento. Nel marzo 1912, Tiberio venne nominato direttore del gabinetto batteriologico dell’ospedale militare di La Maddalena, dove rimase sino al novembre dello stesso anno; e, pur in un periodo così limitato riuscì a dare la sua impronta di ricercatore, dedicandosi in particolare ai problemi relativi alle infezioni malariche assai diffuse in quel periodo in quel area. Poi venne trasferito in Libia, il 13 gennaio del 1913 raggiunse Tobruck per assumere l’incarico di direttore del Laboratorio di analisi di quella infermeria. In quella sede condusse a termine studi, successivamente documentati in un importante lavoro scientifico sulla «Patologia libica e vaccinazione antitifica». La vaccinazione antitifica, da lui disposta con tempestività, evitò l’attecchimento della malattia nel personale della Regia Marina tanto che si verificarono nel 1913 solamente due casi, di entità clinica modesta di paratifo B. E fu a Tobruck che, il 16 agosto del 1913, gli giunse dal Ministero la notizia della promozione a maggiore. Con quel grado, venne trasferito a Napoli, dove il 7 gennaio 1915, la sua vita operosa si spense all’età di soli 46 anni. Era già cominciata la prima guerra mondiale, che, di lì a poco avrebbe coinvolto anche l’Italia. Ultimamente è stata sollevata l’ipotesi che Fleming potesse essere a conoscenza degli studi del Tiberio. In effetti all’epoca Napoli era un centro di studi molto importante a livello internazionale ed è possibile , nonostante che le pubblicazioni fossero in lingua italiana (infatti allora si usava pubblicare saggi scientifici nella lingua madre), che queste siano potute essere prese come spunto per nuove ricerche. Ebbene, ora che la paternità della scoperta può essere tranquillamente attribuita al nostro concittadino, viste le sue pubblicazioni antecedenti i lavori di Fleming, e nonostante ciò non sia stato riconosciuto a livello internazionale, noi crediamo che, al di là di qualsiasi polemica che “lascia il tempo che trova”, dovremmo andare comunque molto fieri che il nostro Paese abbia dato i natali ad una delle menti innovatrici del secolo passato e dare come esempio alle nuove generazioni i valori sani e genuini di persone come Vincenzo Tiberio.
Luca Lisella e Cristian Mottillo – Il Paese – periodico sepinese – 2005/2006
lapide in piazza Nerazio Prisco in Sepino