Sepino Moderna
Nel 1799 gli echi della Rivoluzione Napoletana arrivano anche in Molise: gruppi di sepinesi si schierano a favore della Rivoluzione. L’intero Molise è sconvolto dal disastroso terremoto di Sant’Anna, fra il 26 e 27 luglio 1805, che distrugge anche parte del castello. Il 14 marzo 1806, con l’entrata dei francesi in Napoli, inizia il cosiddetto “decennio francese” in cui regnano prima Giuseppe Bonaparte poi Gioacchino Murat. Comincia così un periodo di riforme che porta a svecchiare le strutture antiquate del regno.
Oltre alla divisione amministrativa, e all’ istituzione delle intendenze, sono da ricordare le leggi sull’ eversione della feudalità e quelle che introducono il Catasto e lo “Stato civile”. Giocchino Murat indice nei primi anni del 1800 un’indagine che ha lo scopo di mettere in risalto la vera situazione sociale, culturale ed economica degli abitanti di tutto il Regno di Napoli. Vengono redatte pagine e pagine della così detta “Inchiesta Murattiana” che interessa la maggior parte dei paesi molisani, tra i quali figura anche Sepino che, a suo tempo, costituiva il perno di tutto il circondario. Il “Circondario di Supino” comprendeva anche i paesi di Morcone, Sassinoro, Santa Croce di Morcone, San Giuliano di Sepino e Cercepiccola. Dopo l’Unità d’Italia Sepino, insieme ai centri vicini, è fortemente interessato dal fenomeno del brigantaggio. Si ricordi un famoso avvenimento: l’uccisione, da parte dei briganti, dei giovani coniugi Luigi Fuso e Carolina Cinelli, nella Piana di Sepino, nel settembre del 1862. Il ‘900 è un secolo di grande importanza.
Sono presenti a Sepino nobili famiglie, come i Giacchi, i Finizia, i Mucci etc. che ricoprono incarichi importanti in Italia. L’importanza di Sepino è testimoniata dall’arrivo del Principe Umberto di Savoia nel 1935. In questi anni la classe imprenditoriale cerca di mettere in moto una vera e propria macchina produttiva, Sepino prova a diventare una vera e propria città: nascono varie imprese fra cui la più importante era il Lanificio “Florindo Martino”. L’arrivo della corrente elettrica, i primi studi sulle acque delle Terme, spinte progressiste animano le speranze dei sepinesi del ‘900. Speranze rese vane dalla Guerra e dalla Grande Emigrazione che colpisce duramente Sepino.
Sepino Medievale
Sepino Medievale
Le notizie su Saepinum, dopo il crollo dell’impero romano sono molto frammentarie, probabilmente a riprova del fatto che l’area fu progressivamente abbandonata, anche se lo spopolamento non si è mai completato del tutto. Alla fine dell’Alto Medioevo, la popolazione abbandonò definitivamente l’ Altilia per fondare, oltre agli altri paesi limitrofi, l’odierna Sepino.
Sepino Normanna
In base ai riferimenti storici, si riscontra che nel 1047 il conte Rodolfo, a capo di una schiera di Normanni, occupò la Contea di Boiano. Sepino divenne così una Baronia del ramo cadetto della famiglia dei De Molisio. In seguito la Baronia vede il succedersi di varie famiglie: si ricordano i Di Capua Altavilla, quella dei Carafa Caracciolo, e infine, intorno al 1740, la famiglia Della Leonessa. Succede ai Della Leonessa la famiglia Pignatelli di Monteroduni.
Periodo Longobardo
Un ulteriore abbandono del territorio si verifica come conseguenza della crisi economica successiva alla guerra greco – gotica (535-553 d.C.). L’assetto urbano della città viene recuperato con l’arrivo dei Longobardi: il territorio di Sepino viene annesso al Gastaldato di Boiano, dal duca di Benevento Romualdo, che lo affida ad una colonia di Bulgari. È in questo periodo che la zona prende il nome di Altilia (“Alt” che vuol dire “vecchio” e “Theil che sta per “parte”). In questo periodo la città riprende vita anche grazie ai finanziamenti che provengono dal monastero benedettino di S. Sofia di Benevento. Questa situazione dura fino al XI secolo, anche se le incursioni dei Saraceni dell’ 882 provocano un ulteriore abbandono dell’area. La maggior parte della gente, preferisce ripararsi in una zona più difendibile; con l’arrivo dei Normanni viene edificato un vero e proprio castello il “Castellum Saepini”. L’abitato era circondato da una cintura muraria a forma quasi ellittica, con quattro porte, munita di torri sulle quali spiccava il castello. Tuttora sono conservate alcune torri e tre porte: la porta Meridionale, la porta Orientale, la porta di Corte o porta Borrelli . Il castello fu distrutto, senza lasciare nessuna traccia, in un disastroso terremoto nel 1805, una delle poche testimonianze e un’antica stampa che raffigura il castello.
Sepino Romana
Sepino Sannitica
Le prime tracce umane in territorio di Sepino fanno riferimento al ritrovamento di una capanna preistorica, in un bosco ai piedi del monte Mutria. La capanna risale al Neolitico ed aveva una struttura semiovale. Lungo la parete destra era adagiato il corpo di una donna con il suo corredo funebre costituito da una ciotola, due conchiglie forate, una fusaiola sferica e una punta di freccia di selce. I vari ritrovamenti consentono di datare la capanna tra il 3600 e il 3000 a.C. Nel corso del II millennio a.C. si afferma la cosiddetta civiltà appenninica, con economia prettamente pastorale. Nel IV secolo a.C. il Molise attuale era abitato da popolazioni italiche appartenenti al ceppo sannitico, le cui origini risalenti al VIII a.C. fanno riferimento ai Sabini. La tradizione, riferita da scrittori antichi, come Strabone o Festo, vuole che i Sabini, situati nel cuore dell’Italia centrale, praticassero il Ver Sacrum (o primavera sacra). I Sabini, in momenti di pericolo o di calamità naturali, dedicavano al dio Marte tutto ciò che nasceva nella successiva primavera: i bambini nati in tale periodo non venivano immolati, ma allevati come sacrati (consacrati) e, raggiunta la maggiore età, dovevano lasciare la loro tribù alla ricerca di nuove terre guidati da un animale sacro, stabilendosi nel luogo che si pensava l’animale avesse indicato. I primi sacrati, secondo la tradizione, erano capeggiati da Comio Castronio e partirono in settemila verso il Sud, sotto la guida di un bue. Il luogo prescelto da questi divenne poi la culla della loro nazione e dal bue prese il nome di Bojano. Sono questi i futuri Sanniti.
L’organizzazione territoriale di questo popolo ha come unità minima i vici, riuniti in vari pagus che nel loro insieme formano il touto. La nascita di un vicus presuppone un luogo pianeggiante o pedemontano, comunque di facile accesso, capace di accentrare funzioni produttive, agricole, di allevamento, di scambio e artigianali. Questa collocazione geografica però, espone il villaggio a facili aggressioni da parte dei nemici, per cui venivano costruiti dei luoghi montani fortificati (gli oppida e i castella). È questo il caso anche dell’insediamento sannita nei nostri territori: un vicus a valle (sul quale poi sarebbe sorto il municipio Romano di Saepinum) e la cosiddetta “Ocre Saipinatz”, che tradotto dalla lingua osca significa “opera a difesa del recinto”, in località Terravecchia. Insieme alle fortificazioni venivano costruite anche edifici di culto: i santuari; infatti, contemporanea alla costruzione dell’ocre è l’edificazione di un luogo di culto in località Cantoni, il tempio italico detto di San Pietro.
Nel 293 a.C. nel corso della terza guerra sannitica, il console Romano Lucio Papirio Cursore attaccò la roccaforte di Terravecchia. A tal proposito lo storico romano Tito Livio scrive “I sanniti uscirono dalle porte della città per difendere le mura con il proprio petto”: 7400 morti e 3000 prigionieri furono il bilancio della disfatta di Terravecchia. Questa data segna l’inizio dell’epoca romana.
Centro Storico Medioevale
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Il Centro Storico è racchiuso nell’area dell’antico borgo medioevale. L’abitato era circondato da una cinta muraria a forma quasi ellittica, con quattro porte, munita di torri sulle quali spiccava il castello. Tuttora si sono conservate alcune torri e tre porte: la Porta Meridionale , la Porta Orientale, la Porta di Corte o Porta Borrelli. Il castello fortemente danneggiato dal terremoto del 1805 fu progressivamente abbattuto.
Dalla Piazza Nerazio Prisco, visitare la Chiesa di Santa Cristina (1) XI-XII secolo, originariamente intestata a S.Salvatore. All’interno vedere il sarcofago del Vescovo Attilio, la Fonte battesimale, il Reliquiario in legno intarsiato del ‘700, la Cripta votiva con i numerosi ex-voto, i Martirii di Santa Cristina, il Tesoro, i Busti bronzei, il Coro ligneo (XVIII sec.) con pannelli intarsiati – il pannello centrale mostra una scena della Creazione -, le numerose iscrizioni storiche, l’originario ingresso posteriore. Usciti dalla chiesa scendendo a sinistra si perviene al Rione Castello e,proseguendo lungo la comoda scalinata in pietra, si arriva alla Porta Orientale (2), sulla quale è ancora evidente lo stemma della famiglia “De Molisio”. Prima della porta notare le iscrizioni riferite al Vescovo Attilio 1476-1536 (vedi sarcofago nella Chiesa di Santa Cristina), nonché l’ex Chiesa medioevale di Santo Stefano, ora una graziosa sala conferenze – teatro. Oltrepassare la porta, voltare a destra e transitare all’esterno delle mura del castello.
Più avanti una breve scalinata sulla destra vi riporta all’interno delle mura e vi conduce alla Porta Meridionale (4) a ridosso della Chiesa di Santa Maria (3). Ai lati interni della porta sono ancora evidenti i cardini in pietra. Scendere verso la Chiesa, arrivando al Rione Pantano e poi attraverso la Portella risalire al Rione Lama. Al termine della scalinata voltare a destra per Via della Fonte ed il Rione Canala, vedere l’austera Fontana Monumentale (5) con annesso lavatoio (XIII sec.). Proseguire voltando a sinistra fino alla Chiesa medioevale di San Lorenzo (6). Scendere lungo la rotabile, all’incrocio con Via Ginnasio si incontra un importante palazzo nobiliare. Più avanti notare una serie di torrette semicircolari (7) a testimonianza delle antiche mura del castello. Proseguendo arrivare alla Chiesa del Purgatorio (8), ancora oggi sede della secolare confraternita fondata nel 1797. Nelle immediate vicinanze, sempre lungo la rotabile, è posta la famosa Fontana del Mascherone (9), di epoca romana, proveniente da Saepinum. A sinistra si possono notare anche alcune iscrizioni, riferite a Lucio Nerazio Prisco, nominato console della Pannonia (regione dei Balcani). A destra un antico lavatoio in pietra. Ritornare alla Piazza Nerazio Prisco risalendo per il Rione Castello, attraverso al Porta Orientale, lungo Via Supportici e passare nei pressi della casa natale di Vincenzo Tiberio, antesignano scopritore della penicillina. Soffermarsi, ora più attentamente, ad osservare la piazza principale: la fontana in pietra, indicante i punti cardinali e realizzata dagli artigiani locali; il campanile con la guglia di forma singolare (detta “buttiglione”), interamente realizzata in ferro battuto; il Palazzo Giacchi, attuale sede del Comune, con il portale di epoca romana; gli stemmi in pietra collocati sui portali (frequenti anche a Castello e a Pantano) a testimonianza del titolo di dignità, di concessione o di appartenenza a corporazioni o mestieri; l’ampia gradinata che conduce alla Chiesa di Santa Cristina e sul lato opposto la scalinata che riscende alla Chiesa di Santa Maria e a Pantano.